giovedì 7 aprile 2016

Da Google Earth al tuo piatto in un solo, doloroso istante.

Una Pangea imbarazzante!

Amici della cartografia, estimatori di mappe e confini, cercatori d'oro, ingenuotti convinti che sotto enormi X rosse su antiche mappe, giaccia un tesoro in dobloni d'oro, benvenuti su Orrori da Mangiare, il blog che tramite potenti satelliti, riesce a guardarvi nel piatto. Purtroppo.



Poteva essere qualunque cosa: la visione da Google Earth di un fiume lattiginoso che solca uno strano deserto dalla sabbia scura, la superficie di un pianeta lontanissimo fotografata da un satellite potentissimo frutto di anni di studio da parte di ingegneri americani, russi e cinesi. 
Poteva anche essere una distesa di germi che attaccano un organo visto al microscopio, una macro di una piaga da decubito, emorroidi di nutria tristemente esplose. 

Poteva essere qualunque cosa. Ma ha scelto di essere roba da mangiare, per l'esattezza, citando la distinta autrice celebriamo "l'esigenza della fretta in questo piatto".

E infatti, dopo una visione profonda dell'unica immagine a corredo della ricetta, veniamo investiti dall'esigenza di fuggire, di svignarcela, di correre. 
Ci viene l'affanno, secchezza delle fauci, ci sudano le ascelle, ci guardiamo intorno agitati, osserviamo compulsivamente l'orologio ad intervalli di centesimi di secondo. 

Si tratta di un vero e proprio cardio piatto, un catalizzatore culinario di ansie, un fomentatore d'incertezze che convogliano verso un solo punto: la fretta.
E in questa celebrazione ben orchestrata del logorio della vita moderna, ci chiediamo al volo: ma se avete fretta, non sarebbe meglio un panozzo con la mortazza?

Lo dico per voi, perché lessare del riso Venere, imbrattarlo di Edamer, pancetta e olive verdi da discount è oltraggioso, e denota un talento per gli abbinamenti pari a quello che avrebbe Leone di Lernia nel cantare un'aria de Il barbiere di Siviglia. 
La logica impone alla foodblogger, inoltre, di suggerirci come ovvia alternativa alle olive verdi, della pasta di tartufo.

E qui, tacciamo.







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