mercoledì 3 febbraio 2016

Sushi di mortadella. Chiudi gli occhi, inspira, espira.

Siamo fatti della stessa sostanza de li mortacci.


Amici del Sol Levante, amanti dell'oriente, estimatori delle scolarette in gonnellino svolazzante, geishe e samurai, cultori (come il sottoscritto) dell'infradito di legno, ようこそ su Orrori da Mangiare.




Oggi vorremmo discorrere dell'antichissima arte del sushi, prelibata pietanza giapponese a base di riso e pesce crudo sapientemente affettato.

La vita dell'apprendista Imatae, ovvero sushi chef, è notoriamente una vita di merda. Il maestro, che durante la sua formazione ha subito ogni sorta di vessazione, di solito non vede l'ora di restituire le angherie con gli interessi al giovane cuoco che irresponsabilmente decide di intraprendere la sua stessa strada. 
Il primo anno di apprendistato si trascorre di solito a pulire i cessi del ristorante. Tutti i santi giorni ginocchioni con uno straccetto in mano, perché il cesso deve splendere come le lame del Maestro! Quando si può passare dai cessi al lavaggio piatti, il giovane di solito piange lacrime e sangue dalla gioia mentre l'Imatae sogghigna con una sinistra luce negli occhi, nel frattempo sono già trascorsi 12 mesi.

Se l'apprendista non è ancora uscito di senno, gli resta un altro anno di gavetta. Di solito la selezione naturale fa molto, e diversi giovini ancora senzienti preferiscono optare per lavori meno umilianti e logoranti, come ad esempio la pesca della balena a mani nude.

L'impavido che resta può passare alla fase successiva, ovvero imparare a lavare il riso. Mesi e mesi con le mani in acqua finchè le dita non diventano palmate, quando l'artrosi bussa alla porta, ecco che finalmente lo chef può accogliere il discepolo al tavolo del taglio. Le lame di un Imatae sono talmente taglienti che possono ferire mortalmente anche quando sono conservate nel cassetto.

Ora la strada è tutta in discesa, restano dieci tentativi, uno per dito. Se arrivi alla fine del corso con almeno un dito, hai vinto.

Ora che sapete, riguardate la foto, pensate all'amorevole marito della foodblogger, che in un atto di devozione (nei confronti di sua moglie, non certo del Giappone) le fa trovare questa sorpresona. 
Fette spesse di mortazza impiastricciate di Philadelphia, arrotolate su sé stesse e impreziosite da pistacchi frantumati. Tutto questo sotto il nome di sushi.

Noi qui stiamo facendo a tocco per l'harakiri.



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