martedì 12 gennaio 2016

Crepes ripiene di panettone. A breve, della stessa autrice: "Pancreas. Perché avrei dovuto conoscerlo".

Il suicidio è servito


    Amici satolli di Mercante in Fiera, fedeli sostenitori del “dopo il 6 gennaio, basta, eh”, proseliti tutti, mi auguro abbiate già digerito.


    Mi auguro che il vostro livello glicemico sia tale da non farvi desiderare non solo ulteriori immissioni di zuccheri, ma nemmeno la visione di “Insonnia d’amore”. Perché ne abbiamo ancora. Di orrori post atomici natalizi, si intende.

    Arzigogolati esperimenti per trasformare i rimasugli di dolciumi delle feste, che già da soli sono notoriamente datati 1998, affollano ancora la rete.

    Questo di oggi raggiunge altissimi picchi di stomachevole ribrezzo, tuttavia combattendosela ad armi pari con il peccato della presunzione.
    Le crepes. Persino Simone Rugiati, giovane ed umile esponente italiano del saper fare in cucina, dichiara con umiltà che le crepes non sono facilissime da fare e la prima viene sempre male.

    E tu, amica creativa, che fai? Ne fai 600!! Tutte al cacao! E tutte BRUTTE. Storte, informi, sottoprodotti edibili (?) di malformazioni genetiche medievali.

    Non solo. Acquisti una crema già pronta di nota marca, e come la prendi? Al limone!!

    AL LIMONE!

    Per quale motivo l’Iddio della nutrizione non dovrebbe strafulminarti o quantomeno apparirti in sogno e suggerirti la via della redenzione a suon di finocchi bolliti e radici?

    Hai vivisezionato (pentiti! PENTITI!!) i resti del tuo panettone, oramai materiale edile a tutti gli effetti, e lo hai mescolato alla sbobba di limone con la grazia di un affiliato della Sacra Corona Unita.

    Hai inzeppato le orride crepes di vomitevole intruglio, che a questo punto manderebbe in coma glicemico pure un Willy Wonka adolescente, e le servi per merenda ma, bada bene, non da sole, no!

    Accompagnate da sfiziosa marmellata di mirtilli, industriale pure quella.

    Poi? Niente altro? ‘Na fetta de culo no?

    Alzi la mano chi di voi non ha ancora casa piena di pandori e panettoni, chiede goliardica la nostra foodblogger. Ecco, no. Noi non ce l’abbiamo. Anche fosse, li avremmo portati – TUTTI – in chiesa. O alla stazione. O stipati a forza nell’umido. O adoperati come sabbietta per il gatto. Finanche glassati di coppale e resi centrotavola. Ma mai, MAI, ci saremmo sognati di renderli vieppiù edibili, sotto la forma di vomitata di renna.




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